IN ATTESA DI GIUSTIZIA – Cosenza, Centro Storico: in memoria di SERAFINA, TONINO e ROBERTO andati in fumo e senza giustizia. I Cattolici del Movimento NOI, ricordano che nessuna vita dovrebbe andare in fumo.
“Io non dimentico“. Di Umile Trausi
A Serafina, Roberto e Tonino, 17 agosto 2017
Umudì, Umudì. Ummì salù?
Uvì, Uvì, è sèmpi assù compiù?
Oh Serafina, amica schiva quanto ostile,
il griffato bohémien, che ti fu stile,
ti rese, pur se fragile, burbera e temuta,
m’a bon ton d’ognun prima, che saluta:
Umudì, Umudì. Ummì salù?
Uvì, Uvì, è sèmpi assù compiù?
Nel Centro Storico di Cosenza
la sol Divina Provvidenza
a te speciale figlia pensa
e fé ricca la tua dispensa.
Poco o niente ti lagnavi.
Ogni bene tu sognavi
Guai, però, se di rispetto ti si mancava
istinto ed esuberanza non ti mancava
per marcar dell’esistenza
i confini della tua presenza,
d’umanità viva lembo cupo e creativo
dei vicoli di Cosenza il più suggestivo.
Umudì, Umudì. Ummì salù?
Uvì, Uvì, è sèmpi assù compiù?
La calura estiva di quel giorno,
al piano alto ti portò di ritorno.
La tua chioma capricciosa,
qual miccia minacciosa,
tra le fiamme fu così fatale,
che mai abbraccio fu s’ì letale.
Cài, cài, cài…mànc’àlli càni.
Aiùtu, aiùtu cum’haj i fàni:
òhi, òhi cùmu vrùsciu.
Scàmpu c’era mànc’all’ùsciu
tra vàmpi e fumìantu
si cunsùma ssù turmìantu.
Quivi Pace tu trovasti,
pur d’amore ti cibasti.
Haimè, regina diventasti
d’un regno senza fasti e pasti.
La tua misera, ma regale alcova
urna tua per sempre, qui si trova.
Da du’anni le tue ceneri custodisce.
Misfatto non ha prova, che smentisce.
Di Serafina, che alla vetrina fa capolin cucù,
quel saluto quotidiano, haimè, io, non odo più.
Umudì, Umudì. Ummì salù?
Uvì, Uvì, è sèmpi assù compiù?
Robertino, ribelle sposo e pure infedele,
a Serafina spesso instillava miele e fiele.
Tra incomprensioni, gelosie, risse e liti,
tragicomiche storie, spesso, in questi siti
accadevano e si susseguivano con frequenza
che l’Arma, rispettata, a stento e con pazienza
riusciva a domare gli Indomiti e guerrier furiosi,
sovente, ai nosocomi e patrie galere finivano riottosi.
Rubato alla sua innocente ingenuità,
morte lo coglie nella sua singolare amenità.
Le disperate grida della sua cosciente metà,
il tossico dei fumi non lo portano alla realtà.
Paladino e portavoce
di quel che fu dei Noce
famiglia di Vico I Padolisi,
a tutti noti, m’anche invisi.
Tra tutti, certo, il più rissoso,
mai prono m’anco il più focoso.
Un nemico fuoco,
allo stess’uopo,
ahimé, a morte lo consegna
in lui, così, vita più non regna.
Cài, cài, cài…mànc’àlli càni.
Aiùtu, aiùtu cum’haj i fàni:
òhi, òhi cùmu vrùsciu.
Scàmpu c’era mànc’all’ùsciu
tra vàmpi e fumìantu
si cunsùma ssù turmìantu.
Stessa sorte giunge malaugurata
A Tonino, persona ancor di più sventurata.
Taciturno, sguardo acuto e sfuggente
Per mostrar la sua umiltà innocente.
Disponibile se con lui riconoscente.
Nel quartier sempre vigile e presente.
Geloso della sua privacy ne fu custode.
Tesse, d’egli, il vicinato lusinghier lode
pur se a volte da raptus preso,
non per vezzo perché forse leso,
come riccio si chiudeva
e i suoi aculei schiudeva.
Mangiar con lui stimolava l’appetito,
forte come una quercia, eppur tramortito
da infernal fuoco, fiamme e mortal fumi
ch’a spegner non bastò l’acqua ch’è nei fiumi.
Cài, cài, cài…mànc’àlli càni.
Aiùtu, aiùtu cum’haj i fàni:
òhi, òhi cùmu vrùsciu.
Scàmpu c’era mànc’all’ùsciu
tra vàmpi e fumìantu
si cunsùma ssù turmìantu.
Questa è una storia filtrata
dall’ emozione,
vissuta e ricordata con commozione.
Ancor oggi mi domando se mai luogo fu più ferito
da sí persone o da spirito solidale già smarrito.
Di gramigne ed omertose malignità
la storia, oibó, scrive fumose verità.
Sia solerte e scaltro il giudice ad indagare
perché risposte a giustizia bisogna dare.
Se ancor quest’anime son tra le mura a vagare
le fiamme, ancor sì, continuano voraci a divorare.
Noi tutti pace non avremo.
Finché verità non sveleremo.
Dio, sol Tu riman l’estremo,
principio e fine ch’io più temo.
Rigeneriamo i luoghi sì, attraverso le persone,
di cui ognun preziosa perché non clone.
Uomo o donna, vecchio o bambino, ch’esso sia,
creatura, persona o cittadino d’ogni cosa è pur pria.
Per Tonino, Roberto e Serafina, formalmente,
chiedo a tutti: sia fatta memoria degnamente.
Cài, cài, cài…mànc’àlli càni.
Aiùtu, aiùtu cum’haj i fàni:
òhi, òhi cùmu vrùsciu.
Scàmpu c’era mànc’all’ùsciu
tra vàmpi e fumìantu
si cunsùma ssù turmìantu.
Di Serafina, che alla vetrina fa capolin cucù,
quel saluto quotidiano, haimè, io, non odo più:
Umudì, Umudì. Ummì salù?
Uvì, Uvì, è sèmpi assù compiù?
Finisce la ballata, d’amarezza il cuor mi s’è inondato.
Distratto, quel dì, non risposi al saluto che m’ha dato.
Umudì, Umudì. Ummì salù?
Uvì, Uvì, è sèmpi assù compiù?
Ciao, Toní.
Ciao, Robé.
Ciao, Serafí.
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