a cura di Antonio Ilardi/
Trecentoventi milioni dal PON Scuola 2014-2020, centocinquanta milioni dal D.L. 41 del 22 marzo 2021, quaranta milioni dal D.M. 48 del 2 marzo 2021, per un totale di 510 milioni di euro, oltre ad improbabili sopravvenienze da attività di crowdfunding, è l’investimento del Governo Italiano per il Piano Scuola Estate 2021.
Un programma che, nelle intenzioni dell’esecutivo, mira a contrastare le “nuove povertà educative”, riversatesi “sulle fasce sociali più deboli, sulle famiglie a basso reddito, sugli studenti con bisogni educativi speciali”, con il sempre verde intento di “non lasciare indietro nessuno”. Testualmente, il Piano si prefigge l’obiettivo di offrire “agli studenti di quello che più è mancato in questo periodo: lo studio di gruppo, il lavoro in comunità, le uscite sul territorio, l’educazione fisica e lo sport, le esperienze accompagnate di esercizio dell’autonomia personale”. La genericità delle condizioni evocate e la loro astratta applicabilità all’intero territorio nazionale appaiono davvero sconcertanti.
Da una parte, infatti, proprio in pandemia si sono verificate, grazie alle piattaforme di comunicazione, grandi opportunità per lo studio di gruppo, abbattendo ogni difficoltà logistica, ed è stato possibile per gli studenti sviluppare autonomia personale nell’apprendimento. Dall’altra, la valorizzazione delle uscite sul territorio, dell’educazione fisica e dello sport appare una flebile motivazione per impegnare risorse così ragguardevoli e per affidarne proprio alla Scuola il compito.
Si rischia seriamente, in realtà, di disperdere nuovamente centinaia di milioni di euro in attività didattiche dall’efficacia non misurabile. In aggiunta, si genera il danno di impegnare gli spazi interni degli istituti scolastici anche d’estate, rendendo di fatto inattuabile ogni intervento strutturale o impiantistico per assicurare maggiori condizioni di sicurezza sanitaria a Settembre, mentre surreali appaiono le indicazioni di organizzare, con il caldo torrido, qualsivoglia attività all’aperto. Un Piano serio avrebbe dovuto prevedere la valutazione individuale di eventuali deficit di apprendimento, l’obbligo di frequenza riservato a chi fosse incorso in tale condizione, il sostegno logistico ai meno abbienti per il raggiungimento delle sedi scolastiche, la verifica finale del percorso effettuato. Tuttavia, un Piano così avrebbe comportato la necessità che il Governo abbandonasse una sorta di relativismo pedagogico e privilegiasse la realtà concreta dei singoli individui. Meglio evitare. Troppo educativo. Meglio spargere fumo anziché coltivare intelligenze.