L’amore per il nostro territorio, per la nostra terra, per il paesaggio, per i segni del vissuto, viene da lontano. E’ un retaggio antico che ci lega indissolubilmente al luogo della nostra nascita e sollecita nelle persone sensibili una costante e silenziosa riflessione come una eterna domanda che non troverà mai risposta, perché nella tensione generativa tra il nostro pensiero e la realtà, si trova lo stesso rapporto del nostro io con il contesto che ci accoglie che troppo spesso subisce le molte declinazioni dell’IO. Di una fare politica dimenticando il significato più nobile del termine ancorato alla nostra Carta Costituzionale i cui diritti e doveri sanciti in essa, troppe volte vengono sbiaditi dall’avanzamento delle politiche personalistiche finalizzate al mantenimento del potere personale.
Possiamo definire questo silenzioso e misterioso dialogo interiore tra cittadino e territorio interiore una forma di amore? Credo di si. E per questo motivo siamo portati a difendere qualcosa che, in fondo, come ogni amore, ci appartiene per tutto il tempo della nostra esistenza. Si può amare una Città? Perché tendiamo a difenderla da ciò che riteniamo ingiusto? La risposta è semplice: per amore.
Provare questi sentimenti, questa continua tensione emotiva, questa smania per vedere emergere sempre il bene, ciò che riteniamo giusto, appartiene alla sfera positiva e propositiva dell’essere non solo cittadini ma anche “corpo politico”. In questo caso, la visione si allarga dall’IO al NOI.
Treccani ci dice che la Politica è “La scienza e l’arte di governare, cioè la teoria e la pratica che hanno per oggetto la costituzione, l’organizzazione, l’amministrazione dello stato e la direzione della vita pubblica; le norme, i principî, le regole della politica.; scrivere, trattare, discutere di politica“.
In questa direzione, l’amore personale tra cittadino e contesto si deve necessariamente trasformare in un progetto razionale nel quale il cittadino che sceglie di dedicarsi alla politica deve lasciare assopire l’IO per fare posto a quella griglia di valori che guardano allo sviluppo della società civile e degli interessi dell’intera collettività. In poche parole: essere il NOI, un termine che àncora il politico indissolubilmente a diritti e doveri.
Governare, cioè fare politica, in dispetto della comunità, significa non essere mai riusciti a calarsi nel ruolo del politico ma del semplice cittadino con le sue idee personali, in dicotomia con i valori che abbracciano e compiono il senso stesso del termine “politica”.
Nel passaggio dall’IO al NOI con tutta la maturità che richiede questo tempo di migrazione culturale, si sviluppa quella politica con la “P” maiuscola cui si riferisce Papa Francesco quando incoraggia i laici ad occuparsene, ma anche l’intuizione di Papa Paolo VI quando affermava che “la politica è la più alta forma di carità”.
Abbiamo visto cosa produce la politica dei tanti IO. Ora, è tempo di migrare verso valori alti e profondi che tengano presente che le radici più sono forti, più l’albero sarà saldo, più riusciremo ad alleviare una sofferenza che il genere umano non merita. Ma dobbiamo farlo insieme per essere certi che a nessuno venga negato il diritto di crescere e sentirsi parte di un mondo migliore. I Popolari hanno questo compito ma hanno anche poco tempo.