a cura della Redazione/
Nell’epoca nella quale non è più obbligatorio il servizio di leva, dunque in un momento storico nel quale la conoscenza delle grandi potenzialità dell’Esercito Italiano sono note solo agli addetti ai lavori, il Movimento NOI desidera dare spazio ad approfondimenti in grado di consentire a tutti NOI cittadini di “fare amicizia” con il nostro Esercito Italiano, di cui siamo fieri. Sia per valorizzarne gli aspetti dell’impegno a supporto del mondo civile, che difendendolo dalle nicchie di politica opportunista, poiché il senso dell’essere “militari”, significa essenzialmente esporsi in prima persona per la tutela massima del bene comune, perfettamente in linea con i nostri principi statutari.
Proprio oggi con il terremoto che tutti abbiamo avvertito impauriti innanzi alla forza della natura, tutti abbiamo capito che dovesse per davvero accadere ciò che è toccato ad altri, non sapremmo come cavarcela. Ecco perché dobbiamo imparare dall’Esercito Italiano e, come vocazione politica sentirlo non un corpo estraneo alla società ma un pilastro della stessa società civile, rendendo le strade che lo congiungono ai cittadini, semplici da percorrere. Ci spingeremo nell’analisi più profonda di una serie di problematiche.
Forse non molti sanno che l’Esercito Italiano, assieme a tutti gli altri Corpi del Comparto Sicurezza è un bacino di potenziali elettori, che per numeri – e sappiamo tutti che in politica contano quelli – può letteralmente spostare gli equilibri locali e nazionali. La Calabria, pur avendo dato i natali a tantissimi professionisti in uniforme, purtroppo soffre di ‘ndrangheta, degrado sociale, disagi di ogni specie. I politici più furbi, che sul disagio hanno edificato carriere, giocano sotto traccia, consapevoli che dietro le circa 90.000 unità, di cui l’Esercito Italiano è composto, vi sono altrettante famiglie, tutte aventi diritto al voto, anche famiglie calabresi.
E giacché di Calabria si parla, è il caso di portare all’attenzione nazionale un primato, che va ben oltre l’incompiuta – si fa per dire – caserma di Cutro (KR), e che si impantana nella travagliata storia della caserma “Ettore Manes” di Castrovillari (CS). L’infrastruttura, che dal 1994 ospita una Compagnia Genio, dovrebbe essere uno dei presidi più importanti del Mezzogiorno, soggetto ad attività tettoniche, dissesti idrogeologici e alluvioni, non ultima quella che nel 2015 devastò la Sibaritide, in particolare Corigliano-Rossano.
I genieri, oltre ad occuparsi della bonifica di ordigni esplosivi, sono specialisti nel supporto alla popolazione in caso di pubbliche calamità. Ciò dovrebbe essere un valore aggiunto, per una regione a rischio come la Calabria, e invece no, o perlomeno, non con l’attuale personale ridotto ai minimi termini, non con la mancanza di mezzi e materiali. Un reparto Genio non può operare se ha insufficienti risorse umane, e qualche – per essere ottimisti – mezzo tecnico, non può considerarsi pronto in caso di emergenza. In caso di allertamento, fosse anche per un evento di piccola entità, avrebbe comunque bisogno di attendere rinforzi ed aliquote operative dalla Caserma Generale “Amico” di Caserta, dove è di stanza il 21° Reggimento Genio Guastatori, dal quale dipende la Compagnia Genio di Castrovillari. Difficile da scrivere, ancor di più da accettare, eppure è così. A causa delle scelte politiche altalenanti, inoltre, l’ombra di una possibile soppressione del reparto, ha per anni paralizzato il tessuto economico e sociale della comunità.
Sarebbe il caso di porsi degli interrogativi e di pretendere risposte dai vertici istituzionali:
– attese le prerogative della Forza Armata, sull’esempio del battaglione multifunzionale costituito a L’Aquila nel 2017, è così difficile garantire un presidio di LIVELLO nella nostra regione?
– è mai possibile che, la tanto declamata capacità duale dell’Esercito, trovi nella Calabria
l’unica orfana ?
Che dire, fanalino di coda in tutto e per tutto. Eppure, è sulla promessa di uno sblocco di questa ingiustificata situazione che molte preferenze elettorali sono ricadute su Tizio, anziché su Caio. Negli ultimi cinque anni, la caserma “E. Manes” è stata visitata da diverse personalità politiche, locali e nazionali. La sensazione è che l’infrastruttura sia diventata una passerella lesiva dell’intelligenza di chi vi lavora, nonché illusoria per quanti vorrebbero potervi prestare servizio, riavvicinandosi finalmente ai propri cari.
Il tema dei ricongiungimenti familiari è tra i più delicati all’interno dell’Esercito, i politici lo sanno, e a suon di annunci si beccano i voti di tutte quelle famiglie che vivono in “apnea affettiva”: il coniuge militare a nord, l’altro a sud. Per quanto possano dirne i meno sensibili, il più delle volte sono particolari esigenze ad impedire al nucleo familiare di stabilizzarsi al settentrione. Costo delle case, parenti con problemi di salute, sono solo alcuni dei motivi ostativi allo spostamento verso la sede di lavoro del proprio congiunto.
Castrovillari non è la più gettonata, il che dovrebbe contribuire ad una serena gestione dei trasferimenti a domanda, eppure, anche quest’anno, il malcontento si riconfermerà (salvo colpi di scena) unico protagonista del bando di “Disponibilità al movimento presso altre sedi”. Una sola domanda accolta su oltre quaranta. Questa è l’ attenzione di Roma nei confronti della mancanza di decine di soldati: un uomo. Uno.
Una battuta infelice è d’obbligo: la caserma “Ettore Manes”, Cenerentola tra le caserme di tutta Italia, è alla ricerca del principe azzurro: un qualsiasi parlamentare disposto a farsi carico di quello che non dovrebbe essere un salvadanaio da campagna elettorale, bensì una struttura piena, non semi-deserta, di soldati specializzati e finalmente di ritorno a casa.
Nessuno ha mai avuto il coraggio di scrivere queste cose. Ebbene, la nostra redazione ha voluto supplire al gravissimo silenzio degli attori interessati, nella speranza di portare al centro del dibattito istituzionale quanto scritto finora, non ultimo il malessere di tutti quei graduati che, pur avendo punteggi, anni di servizio e requisiti per beneficiare dell’avvicinamento, subiscono vere e proprie vessazioni nei tempi e nelle ingiustificate elusioni delle carenze organiche. Dietro un cappio al collo, o una pallottola alla tempia, o più semplicemente dietro la scelta di porre fine alla propria esistenza, spesso – e qualcuno fa di tutto per non farlo sapere – c’è la lontananza dalla propria casa. Un distacco che amplifica la gravità dei problemi e il malessere che ne deriva. Servono ulteriori elementi? Secondo NOI, no.