A cura del Prof. Gianluca Nava
Responsabile Restauro e Beni Culturali Movimento NOI
I nostri beni culturali siamo NOI, parlano di NOI. Raccontano la nostra storia, le nostre idee, le nostre esperienze e le nostre identità.
Siamo talmente permeati di questi simboli che, nel 1796, la Repubblica Cispadana avrebbe dovuto includere, sul vessillo che poi sarebbe stato l’universalmente riconosciuto “tricolore”, uno dei nostri monumenti…Sarebbe stato imbarazzante sceglierne uno, ma certamente non sarebbe inorridito nessuno!
I beni culturali italiani, purtroppo, parlano di NOI con maggiore eminenza solo al di fuori dei nostri confini geografici.
L’Italia è un Paese che si è “permesso il lusso” di “accompagnare” lo sviluppo del suo Eden, dal 1939 (Bottai) al 2004 (Urbani) con delle leggi indecifrabili ed inadeguate soprattutto perché, come tutte le RISORSE STRATEGICHE, hanno bisogno di essere “guardate” con molta cura.
Anche il nuovissimo Decreto Cultura del 2014 (Franceschini), con il suo ART BONUS, è ricco di buoni propositi, ma fumoso nei contenuti e nella sua attuazione. Per i dati statistici, si vada a consultare la quantità di interventi effettuati sul patrimonio “vincolato” dai soggetti privati. Si scoprirà che il rilievo numerico e l’effettiva percezione della risorsa è minore del “gettone renziano” (80 euro).
Non è da meno il BONUS CULTURA dedicato ai nostri giovani che hanno inteso farvi riferimento solo nel 6,3% dei casi.
Il nostro bel Paese ha da sempre maltrattato tutti gli onesti lavoratori che hanno dedicato le loro esistenze a questi simboli identitari. Tutti coloro che, a vario titolo, hanno avuto nel loro target professionale i beni culturali, sono stati da sempre, elisi e negletti.
Qualcuno con in mano lo scettro ha anche risposto, in interrogazioni parlamentari, che con la cultura non si mangia.
La “torta” del DEF che i beni culturali vedono assegnarsi ogni anno dal Governo, è RIDICOLA!
Ormai è una piangente consuetudine constatare che si rifiutano i soldi per la gestione, per la valorizzazione e soprattutto (UDITE…UDITE!!!) per la conservazione.
Attualmente, almeno trentamila (stima per difetto!) persone in Italia, fra storici dell’arte, diagnosti e restauratori, attendono di “sapere” come siano riconosciute le vicendevoli competenze nel menage amministrativo che si attua quando si interviene sul nostro patrimonio artistico.
Quindi in questa pittoresca vicenda che annichilisce qualsiasi buon proposito trasversale delle compagini che si sono avvicendate al governo, nel Paese che, in rapporto all’intero pianeta, detiene la maggiore quantità di manufatti artistici di pregio, si riservano “briciole” per “tappare” il foro principale della vasca e si assiste inesorabili alla presenza-assenza di un popolo “mascherato”.
E’ il popolo mascherato che i giapponesi vengono a filmare per poi detenere i diritti di autore sulle immagini della Cappella Sistina, quello che assiste inerme alla partnership modaiola che rimette in piedi la Fontana di Trevi, quello che “abbassa la saracinesca” perché lo Stato (moroso!) non paga i lavori di restauro per i quali (per sporadico miracolo conclamato) ha incassato i soldi dall’UE.
Se ci si sofferma dunque ad osservare come la governance italiana abbia gestito la “pentola” del patrimonio culturale, lo spettacolo che si ammira è desolante, torrido, agghiacciante. In un rinnovato modus operandi bisogna rifondare un pensiero, al quale seguirà una azione operativa.
Il pensiero dovrà essere quello che con l’ECONOMIA DEI BENI CULTURALI, si potrà governare bene.
Sarà profumato il risveglio degli italiani quando, finalmente, saranno certi che con uguale rispetto si tratteranno le migliaia di lavoratori del settore e del suo indotto, insieme a questi “scrigni” di sapienza. Gli scrigni che esporteremo nelle menti di coloro che non ci dimenticheranno mai quando varcheranno in nostri confini.
L’amministrazione di questo Paese non può disattendere la promessa che il nostro patrimonio attende! Più fondi nel DEF e meno sprechi, più progetti mirati che producano ricchezza.
E mai più si dovranno attendere i fondi d’Oltralpe, perché sarebbe come relegare in subordine tutto quello che, per sua natura, non dovrà ritornarci.
Il domani dei beni culturali italiani si realizzerà con l’immediato riconoscimento del nostro patrimonio mediante un fine, capillare e rigoroso censimento (dei rischi, delle emergenze, dello stato di conservazione) mai davvero attuato. L’attività delle Soprintendenze non è mai riuscita a conoscere, in maniera esaustiva, questi dati.
Al contempo, a coloro che per le loro vicendevoli competenze se ne occuperanno, sarà concesso di “smascherarsi” ed essere un vanto per questa nazione.
I fondi dovranno essere equamente ripartiti in una attenta, solerte e metodica programmazione pluriennale che terrà conto delle emergenze e del pregio. Non sarà mai più possibile relegare le aree fuori dai centri canonici di interesse in un eterno oblio.
Il nuovo modo di pensare i beni culturali italiani passa attraverso una azione sinergica di insieme. Questo sistema virtuoso favorirà le singole specificità come carattere premiale e negherà la pregressa azione egemonica dei “simboli” consueti.
Con questa azione sui beni culturali CRESCE L’ITALIA.
NOI…insieme, faremo crescere l’ITALIA!